Le statistiche ci informano che le allergie sono in aumento, soprattutto presso
i bambini, e la nostra esperienza quotidiana ce ne dà conferma. Siamo di solito propensi ad attribuire questa escalation all'inquinamento atmosferico, innanzitutto, e ai cibi di cui ci nutriamo, prodotti
attraverso procedimenti
industriali che spesso prevedono l'uso di conservanti, coloranti, eccipienti e quant'altro… Certo, l'inquinamento e l'alimentazione hanno la loro parte di
colpe, ma c'è un altro insidioso nemico, al quale forse concediamo con troppa
facilità la nostra fiducia
e che è sempre a contatto con la nostra pelle: ci riferiamo all'abbigliamento. La stessa attenzione che riserviamo alla scelta ed all'acquisto di prodotti di provenienza certa e biologicamente "sicuri" nel
campo dell'alimentazione, dovremmo imparare a impiegarla anche quando
acquistiamo capi di abbigliamento.
Si è potuto constatare che i bambini manifestano, sin dai primi giorni di vita,
allergie ai pannolini, e questo perché il tessuto col quale questi ultimi sono realizzati, subisce, in fase di lavorazione, una serie di trattamenti chimici. Le
patologie riscontrate più frequentemente, tra quelle legate all'uso di
determinati capi di abbigliamento, tra gli adulti ed in particolar modo tra i neonati e i bambini, sono le allergie da coloranti, le dermatosi e l'irritabilità causata dalle cariche
elettrostatiche. Il problema, però, non è costituito
soltanto dalla natura
delle fibre con le quali
gli abiti sono prodotti: anche tessuti
"naturali" possono creare
inconvenienti alla salute.
Nel
caso del cotone,
ad esempio, vengono
adoperati pesticidi e diserbanti
nella fase della coltivazione della pianta, e poi il tessuto viene sottoposto a trattamenti chimici nella fase della lavorazione industriale: in particolare, viene ricoperto di resina acrilica, che impregna le fibre di formaldeide,
sostanza che determina allergie e irritazioni cutanee. Come può più definirsi "naturale" un tessuto che subisce un trattamento simile?
E non parliamo poi dei problemi
causati, a maggior
ragione, dalle fibre
"sintetiche", interamente
realizzate attraverso procedimenti industriali. Proprio per evitare gli equivoci
alimentati dall'ormai inflazionata definizione di "naturale", dobbiamo
focalizzare la nostra
attenzione di consumatori sui prodotti definiti
"biologici", termine che oggi offre maggiori garanzie.
Un tessuto si definisce biologico
quando risponde a due indispensabili criteri: innanzitutto, esso deve derivare da fibre prodotte
in coltivazioni o in
allevamenti biologici certificati e, in secondo
luogo, non deve essere stato sottoposto a trattamenti chimici
di sintesi, né durante
la lavorazione
né
durante il procedimento di colorazione. Un'apposita certificazione, che accompagna i capi d'abbigliamento biologici, e che viene effettuata da istituti specializzati internazionali, garantisce
che vengano rispettati
i criteri citati, nella
lavorazione e nel confezionamento.
Ma, com'è accaduto
in passato per altri prodotti a lungo considerati "di nicchia" e perciò inaccessibili al grande pubblico,
l'abbigliamento biologico è destinato a conquistare sempre maggiori fette di mercato, abbattendo i costi di produzione. Sarà questa la frontiera del biologico in questo decennio? È quello che ci auguriamo, confortati dalle previsioni degli esperti.
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