domenica 23 giugno 2013

Aiuto, sono allergico ai pantaloni!!



Le statistiche ci informano che le allergie sono in aumento, soprattutto presso i bambini, e la nostra esperienza quotidiana ce ne dà conferma. Siamo di solito propensi ad attribuire questa escalation all'inquinamento atmosferico, innanzitutto, e ai cibi di cui ci nutriamo, prodotti attraverso procedimenti industriali che spesso prevedono l'uso di conservanti, coloranti, eccipienti e quant'altro Certo, l'inquinamento e l'alimentazione hanno la loro parte di colpe, ma c'è un altro insidioso nemico, al quale forse concediamo con troppa facilità la nostra fiducia e che è sempre a contatto con la nostra pelle: ci riferiamo all'abbigliamento. La stessa attenzione che riserviamo alla scelta ed all'acquisto di prodotti di provenienza certa e biologicamente "sicuri" nel campo dell'alimentazione,  dovremmo imparare a impiegarla anche quando acquistiamo capi di abbigliamento.






Si è potuto constatare che i bambini manifestano, sin dai primi giorni di vita, allergie ai pannolini, e questo perché il tessuto col quale questi ultimi sono realizzati, subisce, in fase di lavorazione, una serie di trattamenti chimici. Le patologie riscontrate più frequentemente, tra quelle legate all'uso di determinati capi di abbigliamento, tra gli adulti ed in particolar modo tra i neonati e i bambini, sono le allergie da coloranti, le dermatosi e l'irritabilità causata dalle cariche elettrostatiche. Il problema, però, non è costituito soltanto dalla natura delle fibre con le quali gli abiti sono prodotti: anche tessuti "naturali" possono creare inconvenienti alla salute.

Nel caso del cotone, ad esempio, vengono adoperati pesticidi e diserbanti nella fase della coltivazione della pianta, e poi il tessuto viene sottoposto a trattamenti chimici nella fase della lavorazione industriale: in particolare, viene ricoperto di resina acrilica, che impregna le fibre di formaldeide, sostanza che determina allergie e irritazioni cutanee. Come può più definirsi "naturale" un tessuto che subisce un trattamento simile? E non parliamo poi dei problemi causati, a maggior ragione, dalle fibre "sintetiche", interamente realizzate attraverso procedimenti industriali. Proprio per evitare gli equivoci alimentati dall'ormai inflazionata definizione di "naturale", dobbiamo focalizzare la nostra attenzione di consumatori sui prodotti definiti "biologici", termine che oggi offre maggiori garanzie.




Un tessuto si definisce biologico quando risponde a due indispensabili criteri: innanzitutto, esso deve derivare da fibre prodotte in coltivazioni o in allevamenti biologici certificati e, in secondo luogo, non deve essere stato sottoposto a trattamenti chimici di sintesi, né durante la lavorazione né durante il procedimento di colorazione. Un'apposita certificazione, che accompagna i capi d'abbigliamento biologici, e che viene effettuata da istituti specializzati internazionali, garantisce che vengano rispettati i criteri citati, nella lavorazione e nel confezionamento.

Le biofibre, dai quali si ricavano i tessuti biologici, vengono oggi prodotte sia in Paesi del Terzo Mondo (cotone, innanzitutto) che in Occidente: ciò che però ancora tiene lontana la massa dei consumatori dall'abbigliamento biologico è il costo derivante dall'insieme delle fasi della lavorazione, dalla coltivazione alla certificazione (fase che richiede prove, verifiche, esperimenti), che fa quindi lievitare il costo del prodotto finito. 

Ma, com'è accaduto in passato per altri prodotti a lungo considerati "di nicchia" e perciò inaccessibili al grande pubblico, l'abbigliamento biologico è destinato a conquistare sempre maggiori fette di mercato, abbattendo i costi di produzione. Sarà questa la frontiera del biologico in questo decennio?  È quello che ci auguriamo, confortati dalle previsioni degli esperti.



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